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Alviti e Minetti, due belle donne, due magliette molto diverse ma simili…con un comune denominatore….

Sveva Alviti si presentò così al Festival del Cinema di Roma del 2010

Qualche somiglianza con la maglietta della Alviti?

Pensateci bene…pensiamoci bene…come Silvio ha invaso la nostra vita. Entrambe queste magliette hanno ottenuto il successo mediatico al quale aspiravano. La Alviti, da semisconosciuta, ha avuto i suoi 15 minuti di gloria warholiana; la Minetti, tanto per non essere dimenticata e rientrare coattivamente nel gruppo-ne  delle olgettiniane e non solo ( 100.000 intercettazioni 1000 girls?) ieri si è inventata questa maglietta.

Ma noi di newsfromtshirts siamo colpiti dalle magliette, davvero. E abbiamo stima di entrambe, limitandoci al campo che ci compete…

(M.M)

Io li conoscevo bene…Gheddafi, dal suo rifugio, spedisce cartoline ricordo ai suoi “vecchi amici”. Baci, abbracci e …galanterie..E ora? Un bel vaffa da tutti. Che riconoscenza….

Ho fallito, dice Gheddafi. Ma non avranno fallito anche tutti coloro che lo hanno abbracciato e salutato?

 

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Ma il più bravo è Lui, Berlusca, che gli bacia la mano...manco al Papa...

Prodi: volgarita’ e’ bandiera Berlusconi.

La maglietta simbolo del periodo berlusconiano.

Ex premier: sento la vergogna in tutti i Paesi del mondo.

‘Dove Berlusconi e’ andato a fare campagna elettorale ha portato un’ulteriore punta di volgarita’.

La volgarita’ e’ diventata la sua bandiera’. Lo dice Romano Prodi, giunto a sorpresa al comizio di chiusura della campagna elettorale del candidato sindaco del Pd a Bologna, Virginio Merola. ‘Di questa volgarita’, sottolinea l’ex premier, sento la vergogna in tutti i Paesi del mondo. Da questa vergogna dobbiamo riscattarci: perche’ colpisce la nostra vita ed il futuro di noi italiani’.

Fonte: Ansa .it

Allora…se mai ci sarà la cattedra di marketing politico rimarrà alla storia l’insegnamento di Berlusconi e l’utilizzo di questo da parte dei suoi discepoli (almeno i migliori…). Letizia Moratti, La Santanchè, tal Sallusti; ma anche Sacconi, Bossi ( un anarchico che ha saltato il fosso); La Russa…e tanti tanti altri…mandare tutti a fanculo, parlare come parlano i bambini alle elementari (tu puzzi, tu scemo, tu povero…).

Insomma trattare una intera nazione come piccoli e mentecatti bambini che abboccano alle provocazioni rispettando e in temendo il maestro.

Un impianto tutto da ricordare quando finalmente ce ne saremo liberati ma che purtroppo ha fatto e farà storia; storia del marketing politico infantile e volgare, basico e privo di contenuti veri. Marketing dittatoriale …Eppur…funziona.

Buonanotte, Italia

(Marco Mottolese, newsfromtshirts)

Grande Santanchè…rappresenta l’Italia…e dice quello che dice…

Corri corri per Berlusconi...prima o poi inciampi nei tacchi

“Lei deve rimangiarsi delle verità che sono delle falsità che ha appena detto”
(Daniela Santanché, AnnoZero)

Leggete bene quello che ha detto. Leggete e rileggete. E’ una frase detta da un vice-ministro o, sottosegretario.

Quella sua maglietta Fini.

Campagna politica-elettorale a suon di magliette?...

C’è un inquietante parallelo di stampo veltroniano tra Firenze e Bastia Umbra. A parti invertite. Matteo e i suoi rottamatori citano telefilm e cartoni. Gianfranco invece parla di Moro e Berlinguer. Cerco di farmene una ragione. Sono entrambi epigoni di un leaderismo opportunistico?

Esiste più di un sospetto per Fini, a partire dal logo del movimento. Allora mi riguardo un video del convegno di Futuro e libertà, con i miei occhietti da illustratore: Fini che si mette la maglia nera fighetta del movimento. Gli viene offerta da un ggiòvane. Sfodera le modeste spallucce (sì, Fini porta sempre giacche imbottite che lo stampellano) nella ovazione generale e la indossa. Ci sta strano, è surrettiziamente giovanilistico. Inizia a parlare. Ha qualcosa di chioccio nella voce. Stentoreo e nasale al tempo stesso. Sfodera contemporaneismi insieme a tattiche opache. Il bisogno di uscire dal berlusconismo è immenso, toglie l’aria. Le parole di Fini sono comunque boccate di ossigeno. Ha detto anche cose belle (a parte le orride ma significative citazioni della Marcegaglia).

Però bisogna stare attenti. Non si può scegliere spinti dalla disperazione. Che la fine del berlusconismo comporti finalmente anche la fine del duopolio veltron-dalemiano e quindi ahimè dell’onesto Bersani, è cosa ormai scontata. Però bisogna uscirne con le gambe giuste, sia la destra che la sinistra. Bisogna farsi dare dei passaggi, consapevoli che la destinazione è più lontana. “Il berlusconismo (come il leaderismo) non è un’anomalia, un’insorgenza patologica, ma qualcosa che permea l’autobiografia di questo paese”. Queste sono le parole giuste che vengono da un’analisi più profonda e che guarda oltre. Non a caso sono di Nichi Vendola. Finora lui è uno dei pochi che ha indossato solo cose gli appartengono, da leader “vero” prima che da vero leader.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/  (  Emanuele Fucecchi )

Vincerò, così come sono. (Vendola in un’intervista dedicata al suo orecchino).

Come Obama...

Scomodiamo Puccini...?

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Intervista

Vincerò, così come sono

di Denise Pardo per L’Espresso

«Con il mio aspetto che a molti non piace. Con la mia omosessualità dichiarata. Con la mia fede cattolica. Contro tutti i pregiudizi». Parla Nichi Vendola. Che vuole seriamente diventare presidente del Consiglio.

Alla fine, la frase e la chiave anche politica torna su quel cerchietto d’oro bianco illuminato da microscopici brillantini. Eppure l’orecchino di Nichi Vendola non gli ha certo impedito nella corsa a governatore della Puglia, che non è la Svezia, di sconfiggere per ben due volte esemplari senza orecchino ma con il doppiopetto berlusconiano d’ordinanza – Raffaele Fitto oggi perfino ministro e Rocco Palese – e di far saltare il banco del potere dalemiano che sembrava invincibile. Lui, leader e presidente di Sinistra ecologia e libertà, autocandidato alle primarie di coalizione, reduce dai successi del congresso di Firenze e da un pranzo con Pierluigi Bersani primo ponte per possibili alleanze dopo un lungo periodo di gelo, l’orecchino l’ha sempre portato. Ma ora che sul tavolo elettorale la posta in gioco è altissima, sondaggi floridi, popolarità e credibilità crescente, molta attenzione dal mondo anglosassone e molta vicinanza da quello cattolico, l’orecchino, un tempo d’oro, ora più prezioso, regalo del suo compagno per i suoi cinquant’anni, è diventato oggetto di editoriali, interpretazioni, votazioni, disapprovazioni. Una faccenda politica, terribilmente seria. Vendola dice: “È parte di me”. E ne “narra”, per usare il suo verbo prediletto, la parabola, la filosofia, la modernità, la semantica e il segno politico.

Quando si parla di Vendola, prima o poi qualcuno segnala il famigerato orecchino di Nichi: ma come si fa?, dicono…
“Lo so. Ma qualcuno ricorda che nel 1994 l’Italia ha avuto come presidente della Camera dei deputati Irene Pivetti? E che Pivetti girava con la croce della Vandea al collo? E cos’è mai quella croce se non uno di quei simboli che hanno un carattere escludente, indicano un confine che discrimina chi non è all’interno, un’appartenenza autoreferenziale anche autistica e un’aspirazione carica di intolleranza, cioè l’affermazione di una verità che considera tutte le altre verità delle menzogne?”. //

L’orecchino invece?
“È un simbolo che attraversa culture ed ere. Il ciclo semantico legato all’orecchino ha delle evoluzioni storiche paradossali, zigzaganti. Improvvisamente in un’epoca, l’orecchino diventa simbolo di effeminatezza, nonostante il fatto che nell’epoca immediatamente precedente fosse un simbolo di virilità. È l’immagine degli zingari, quindi di un machismo anarchico e vitale. I pirati portavano l’orecchino.”

I pirati. Ma non i premier magari al G20.
“Al G20 stanno con grande padronanza della scena e con grande tranquillità premier che hanno dietro la propria carriera ombre pesanti come quelle di duecento giornalisti ammazzati e premier gonfi di società offshore e di transazioni finanziarie al di sotto di ogni sospetto. In un clima di pornografia al potere, è francamente insopportabile che l’orecchino possa apparire un impedimento all’esercizio autorevole dei doveri pubblici. E perché poi? La forma è anche sostanza, io lo so bene, ma si tratta di una forma che non ha dentro di sé il codice di violenza”.

Vuol dire che è un segno di modernità, un antidoto alle maschere del potere?
“È un segno che umanizza, che desacralizza il ruolo, dà enfasi alla persona. Non è una dichiarazione di orientamento sessuale, se questo è quello che qualcuno vuole sapere. Il problema è nella cultura dominante che vuole etichettare, catalogare tutto ma la vita invece è così multiforme. Considero minacciosi i doppipetto o i girocollo di Berlusconi, che pure trovo una persona simpatica. Anche certi gilet, per esempio, o certe scarpe”.

Scarpe? Si riferisce a quelle di D’Alema?
” No. Non lo dirò mai”.

Crede che D’Alema o Berlusconi potrebbero mai mettersi l’orecchino?
“Oh, Gesù! Speriamo di no. Berlusconi potrebbe farlo, ma sarebbe un altro pezzo di un canovaccio noto. Io non voglio capovolgere il problema e dire che il problema è il non orecchino. Vorrei semplicemente che non ci fosse il problema.”.

Invece a quanto pare esiste. Quando ha deciso di portarlo?

“Nella modestia materiale delle condizioni della mia famiglia, ho costruito la mia immagine attraverso la letteratura e le suggestioni estetiche che soprattutto la grande letteratura ispanica mi ispirava. Il prototipo umano che mi impressionava era l’andaluso, il gitano cantato da Federico Garcia Lorca. Quella figura ha l’orecchino. È bellissimo proprio perché, piuttosto che indicare effeminatezza, rompe la circolarità maschile, apre una via di fuga verso gli altri. Non a caso l’orecchino, come direbbe Roland Barthes, è il punctum, la cosa che ti punge e che ti attira. Qualcosa di irregolare, soprattutto quando vive nell’asimmetria della sua solitudine, lui che era nato per essere simmetrico con il suo gemello. Lo volevo. Lo dissi a mia madre”.

Come reagì?
“Avevo 25 anni, alcuni dei miei amici sparsi per l’Italia lo avevano, le spiegai: “Mamma, mi piacerebbe avere l’orecchino come Italo”, Italo era Italo Nunziata, il regista, un amico del cuore di tanti anni fa. Lei non battè ciglio: “E mettitelo. Anticamente, tanti uomini venivano con l’orecchino, i carrettieri venivano con l’orecchino”, così mi disse. Ricordo la sensazione di infinita libertà nell’andare a cercare un orecchino adeguato alle mie tasche, un semplice cerchietto d’oro, e il dolore del buco fatto in gioielleria, lì capii quanto la bellezza nasca nel grembo del dolore. L’orecchino è stato il completamento del mio corpo. Il tocco che c’ho messo io, una firma. Questa firma mi aiuta a uscire da me stesso “.

Per alcuni è un simbolo politico contemporaneo, altri lo usano anche come un’arma politica contro di lei.
“A fasi alterne, è sempre stato un pezzo del dibattito che mi ha accompagnato. La  prima polemica forte ha avuto come autore Raffaele Fitto, il mio sfidante nella campagna elettorale del 2005. Mi attaccò sostenendo che avevo nascosto l’orecchino nei manifesti elettorali. Si vedeva appena appena, in effetti, nei grande poster con la scritta: “Pericoloso”. Oppure: “Diverso”. Che mi vergognassi di mostrare l’orecchino era davvero ridicolo. Ma era un modo per ricordare allo sguardo assuefatto dei pugliesi, che mi vogliono bene, ormai non ci fanno più caso, che c’era in me qualcosa di trasgressivo, di oscuro, di minaccioso. Appunto, un orecchino!”.

Hanno affrontato la questione Giovanni Valentini, Giampaolo Rugarli, Renato Mannheimer, Don Verzè, Daria Bignardi…
“Penso che questo paese sia molto più ipocrita, molto più bigotto nella rappresentazione che ne danno le classi dirigenti. Viviamo in una società completamente secolarizzata; la maggior parte delle giovani coppie, nutrite a dosi omeopatiche di Grande Fratello, fanno usare ai propri figli di tre anni la brillantina e l’orecchino. Credo che l’opinione pubblica abbia preso confidenza con molte tipologie di diversità, l’orecchino è entrato nell’immaginario collettivo – pensi ai calciatori – a volte come simbolo di potenza e di ricchezza”.

Per un elettorato più moderato, l’orecchino può essere troppo hard?
“Solo una volta in un paese del Sud, un posto di montagna, quando arrivai davanti al circolo di Rifondazione, le persone che mi aspettavano, tutti anziani con mantelli neri e cappelli a falde larghe, non mi vennero incontro, mi guardarono lungamente e uno di loro mi disse in dialetto: “Nun penserai mica di fare il parlamento con l’arecchino!”. Mi fecero salire sul palco, mi presentarono, scesero tutti e mi lasciarono solo. Alla fine di quel comizio, che fu strepitoso, può immaginare la voglia che mi venne di conquistarli uno ad uno, c’era la fila per abbracciarmi. Credo sia stata l’unica volta. Invece, negli incontri affettuosissimi con le nonne e le madri, tra le mie fan più scatenate, capita che mi dicano: “Quanto è bello il tuo orecchino””.

Nessun guru della comunicazione, nessuno dei suoi consiglieri le ha mai suggerito di abbandonarlo?
“No. Ma ho sempre dichiarato che non ero disposto a mutilarmi di ciò a cui attribuivo un significato, privato o pubblico: non della mia fede, non del mio orientamento sessuale, non della libertà di mettermi al mondo come credo, di giorno in giorno. Chi mi stava intorno sapeva che non avrebbe avuto un gancio per questo tipo di discussione. La persona è più importante del personaggio, e per quanto io senta il dovere di comportarmi sulla scena pubblica con compostezza e con il rispetto delle forme, questo non può portare la soggezione a un codice ipocrita e superficiale di decoro”. Alla fine, la frase e la chiave anche politica torna su quel cerchietto d’oro bianco illuminato da microscopici brillantini. Eppure l’orecchino di Nichi Vendola non gli ha certo impedito nella corsa a governatore della Puglia, che non è la Svezia, di sconfiggere per ben due volte esemplari senza orecchino ma con il doppiopetto berlusconiano d’ordinanza – Raffaele Fitto oggi perfino ministro e Rocco Palese – e di far saltare il banco del potere dalemiano che sembrava invincibile. Lui, leader e presidente di Sinistra ecologia e libertà, autocandidato alle primarie di coalizione, reduce dai successi del congresso di Firenze e da un pranzo con Pierluigi Bersani primo ponte per possibili alleanze dopo un lungo periodo di gelo, l’orecchino l’ha sempre portato. Ma ora che sul tavolo elettorale la posta in gioco è altissima, sondaggi floridi, popolarità e credibilità crescente, molta attenzione dal mondo anglosassone e molta vicinanza da quello cattolico, l’orecchino, un tempo d’oro, ora più prezioso, regalo del suo compagno per i suoi cinquant’anni, è diventato oggetto di editoriali, interpretazioni, votazioni, disapprovazioni. Una faccenda politica, terribilmente seria. Vendola dice: “È parte di me”. E ne “narra”, per usare il suo verbo prediletto, la parabola, la filosofia, la modernità, la semantica e il segno politico.

Bossi: andare presto a elezioni. Siamo in una palude.

Molto eloquente...

ALASSIO (SAVONA) – “Ora lo sapete che cosa succederà vero? Il Pd cercherà a tutti i costi di varare un governo tecnico, ma la verità è che loro hanno paura del voto. E anche Fini ha paura di andare al voto. Invece dobbiamo andare presto alle elezioni perché siamo in una palude e dobbiamo uscirne al più presto”. Lo ha detto il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, ad Alassio per assistere alla selezione regionale di Miss Padania. “Andiamo al voto allora e vedrete che cosa deciderà il popolo – ha aggiunto Bossi – Ci sono due persone che prenderanno i voti: quelli sono Bossi e Berlusconi. Lo ha detto Cota stamattina sulla Stampa e ha ragione”.

“FINI? IN BERLUSCONI L’AVREI BUTTATO FUORI SUBITO” – “Fini? Se io fossi stato al posto di Berlusconi l’avrei buttato fuori subito. Ma se ti scarica, uno che cosa deve fare?”. Lo ha detto Umberto Bossi che ad Alassio ha partecipato alla selezione di Miss Padania per la Liguria.

NATURALMENTE SAREMO ALLEATI CON BERLUSCONI – “Se andremo alle elezioni naturalmente saremo alleati con Berlusconi che è una persona perbene. Perché mai dovremmo sparargli alla schiena?”. Così Umberto Bossi intervenuto ad Alassio alla selezione regionale di miss Padania. “Comunque se andassimo a elezioni – ha proseguito Bossi – sicuramente la Lega vincerebbe. Ma il Pd ha una paura folle di andare al voto e questo è il risultato. Siamo fermi al palo, ci troviamo in una situazione difficile e a noi della Lega Nord questa situazione non va più bene. Andiamo al voto, torniamo presto alle urne e vedremo chi è il più forte”.

Fonte: ansa.it

Fini annuncia che non si dimette. Il premier? «Ha una concezione non liberale della democrazia».

Per piacere non sparare...

Nessun passo indietro a Montecitorio: Gianfranco Fini non ha alcuna intenzione di togliere il disturbo. «Non darò le dimissioni perché è a tutti noto che il presidente della Camera deve garantire il rispetto dei regolamenti parlamentari e l’imparziale conduzione dell’attività e non la maggioranza che lo ha eletto. Chi lo sostiene mostra di avere una logica aziendale modello amministratore delegato consiglio di amministrazione che nulla a che vedere con le istituzioni democratiche». In una sala affollatissima Gianfranco Fini ribadisce così l’intenzione di non voler abbandonare lo scranno più alto di Montecitorio e attacca Silvio Berlusconi e «la sua concezione non liberale della democrazia». (Qui il testo dell’intervento integrale del presidente della Camera, qui i video).

Il riferimento il Cavaliere arriva subito nel suo discorso durato solo 4 minuti e senza possibilità per i giornalisti presenti di porre delle domande. «La concezione non propriamente liberale della democrazia che l’onorevole Berlusconi dimostra di avere emerge dall’invito a dimettermi perché, sempre parole del documento, “allo stato è venuta meno la fiducia del Pdl nei confronti del ruolo di garanzia di presidente della Camera indicato dalla maggioranza che ha vinto le elezioni».

Fini conferma quindi l’intenzione dei suoi di costituire gruppi autonomi alla Camera e al Senato, ma si limita a dire che «daranno vita iniziative per esprimere la loro protesta per quanto deciso ieri dal vertice del partito». E qui arriva la precisazione forse più importante dell’intero discorso. «Sono donne e uomini liberi che sosterranno lealmente il governo ogniqualvolta agirà davvero nel solco del programma elettorale e che non esiteranno a contrastare scelte dell’esecutivo ritenute ingiuste e lesive dell’interesse generale».

Nel suo breve intervento, l’ex leader di An cita poi spesso il documento approvato ieri sera dall’ufficio di presidenza che lo ha “scomunicato”. Lo fa esordendo quando ripercorre gli eventi consumatisi ieri sera a palazzo Grazioli. «In due ore – attacca Fini – senza poter esprimermi le mie ragioni sono stato di fatto espulso dal partito che ho contribuito a fondare». E qui la terza carica dello Stato ricorda le accuse mossegli dal principale organo statutario del Pdl. «Sarei colpevole – prosegue Fini ripercorrendo i passaggi clou del documento – di “stillicidio di distinguo e contrarietà nei confronti del governo, critica demolitoria alle decisioni del partito, attacco sistematico al ruolo e alla figura del premier” e inoltre avrei costantemente formulato orientamenti perfino, pensate che misfatto, “proposte di legge che confliggono con il programma elettorale».

Fonte: varie

maglietta by:  www.magliettefresche.com

Fiat-Chrysler: Marchionne riceve Obama a Detroit. “Gli utili radoppieranno nel 2011″.

Ma se Pomigliano non si tocca, almeno Detroit si può assaggiare?

Per Marchionne in Usa è tutta un’altra musica rispetto a quell’Italia che deve considerare come un piccolo mondo antico, stretto, a parer suo,  tra la mancanza di visione politica e industriale e le incancrenite ostilità sindacali. Così oggi, a un anno dallo storico accordo con Chrysler, si concede il lusso di invitare a Detroit Barack Obama, l’altro dioscuro dell’impresa industriale dell’anno. Certo, quando tornerà, a malincuore, in Italia, ad occuparsi di Pomigliano, di Mirafiori, di Federmeccanica, di Fiom e Sacconi, il sorriso compiaciuto di questa intensa giornata si trasformerà in un ghigno di sopportazione e disgusto, che nemmeno l’informale maglioncino riuscirà a cancellare.

Comunque oggi (venerdì 30 luglio) è il giorno del trionfo e le cifre sciorinate da Marchionne lo confermano.

Le vendite di Chrysler in Europa e in Sud America raddoppieranno fra il 2010 e il 2011, fino a raggiungere le 200.000 unità. E’ quanto prevede l’amministratore delegato di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, precisando che l’aumento è attribuibile alla capacità di Chrysler di fare leva sulla rete di distribuzione internazionale di Fiat, soprattutto in questi mercati.

Marchionne in Usa. Sergio Marchionne è oggi negli Stati Uniti e ha ricevuto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama nell’impianto di Jefferson North a Detroit in occasione del lancio della nuova Jeep Grand Cherokee. “Siamo onorati di avere il presidente con noi oggi – ha detto Marchionne – È stato grazie al coraggio delle sue decisioni che Chrysler è stata in grado sopravvivere e crescere a poco più di un anno dalla bancarotta”.

Obama. ”Salvare l’industria automobilistica americana è stato difficile, non volevo che il governo entrasse nel settore”: ma l’industria delle quattro ruota rappresenta ”molto” dello spirito americano. Lo ha detto il presidente americano Barack Obama, sottolineando ”il fatto che siamo qui, che siete qui e’ la prova che chi criticava gli aiuti a Gm e Chrysler sbagliava”: l’industria automobilistica e’ in ripresa.

L’industria automobilistica è piu’ forte – sostiene Obama – dalla meta’ del 2009 sono stati creati nel settore 55.000 posti di lavoro. E per la prima volta dal 2004 le tre sorelle di Detroit hanno archiviato il primo trimestre con un utile operativo.

Avverte il presidente degli Stati Uniti: la strada per l’industria automobilistica ”e’ ancora lunga” ma le ”difficili decisioni prese stanno pagando”.

 fonte: http://www.blitzquotidiano.it/